Mer, 11 Settembre 2024
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Epatite C, l’allarme: ancora troppi casi sommersi

Convegno "Screening di popolazione per combattere l'HCV", che si è tenuto nei giorni scorsi nella Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

Avviare un confronto aperto tra gli stakeholder chiave – clinici, istituzioni, associazioni pazienti – sull’epatite C per condividere elementi fondamentali e ruoli nell’organizzazione dello screening di popolazione, nell’ottica di contribuire ad uno sviluppo efficace ed efficiente dei piani regionali, per approfondire strumenti e piani di diagnosi e prevenzione per combattere l’HCV: sono questi gli obiettivi del convegno “Screening di popolazione per combattere l’HCV”, che si è tenuto nei giorni scorsi presso la Sala Capitolare del Chiostro del Convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

L’infezione cronica causata dal virus dell’Epatite C, infatti, rappresenta in Italia e nel mondo una delle principali cause di morbosità e mortalità correlate a malattie del fegato. In Italia, dagli studi disponibili, è possibile stimare una prevalenza dell’HCV pari all’1% della popolazione (circa 500.000 italiani), con una maggior incidenza nelle classi di età più avanzate (?65 anni). Inoltre, si calcola che vi siano circa 250-300.000 infezioni “sommerse”, inclusi i soggetti che hanno contratto l’infezione tramite fattori di rischio non evidenti, ad esempio interventi chirurgici o odontoiatrici.

Il tema dell’eradicazione dell’HCV si inserisce nel quadro più generale della lotta alla diffusione delle epatiti virali, come da indicazioni dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

“L’eradicazione dell’epatite virale C è una delle più grandi sfide sanitarie attuali perché, se la patologia non viene precocemente diagnosticata e trattata, ha un’evoluzione inesorabile verso la cronicità, influendo significativamente sulla qualità di vita dei pazienti – ha detto Antonio Tomassini, Presidente dell’Associazione di Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione -. In Italia, la diffusione dell’epatite C
non è omogenea: alcune Regioni, tra cui il Lazio, registrano concentrazioni endemiche del virus molto elevate. Inoltre, la pandemia causata dal Covid-19 ha diminuito gli screening e quindi la possibilità di diagnosi precoce della malattia e ha abbassato il livello di attenzione verso la patologia”.

Per ridurre il “sommerso”, cioè quella parte di popolazione portatrice del virus ma non ancora individuata, e migliorare l’accesso alle terapie, nel febbraio 2020, il Governo ha stanziato 71,5 milioni di euro in via sperimentale, per gli anni 2020 e 2021, per garantire uno screening gratuito per l’infezione da Epatite C, coinvolgendo la coorte dei pazienti nati tra il 1969 e il 1989, quelli seguiti dai Servizi Pubblici per le Dipendenze (SerD) e i detenuti in carcere, indipendentemente dalla coorte di nascita e dalla nazionalità.
“Prima dell’avvento della pandemia, l’Italia rappresentava uno dei nove Paesi al mondo in grado di raggiungere gli obiettivi dettati dall’OMS, sia per quanto riguarda il trattamento della patologia ma anche per l’attività di screening. In questo scenario si colloca lo stanziamento di oltre 70 milioni da parte del Governo – ha spiegato Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT e docente di Malattie Infettive Università di Roma “Tor Vergata” -.

In questi ultimi due anni, le Regioni si sono impegnate ad attuare quanto emanato, tuttavia le campagne di screening sulla popolazione sono state sporadiche e con una moderata efficacia sostanziale”.

Nonostante il fondo sperimentale stanziato, le attività di screening hanno subìto un forte ritardo dovuto alla pandemia da Covid-19. “Solo alcune Regioni hanno avviato procedure operative di screening per l’HCV sulla popolazione generale e popolazioni chiave, nonostante questo rappresenti l’unico strumento altamente costo-efficace per scoprire il “sommerso” e per raggiungere l’obiettivo dell’OMS di eliminazione dell’epatite C – ha sottolineato Loreta Kondili, Medico Ricercatore presso il Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità e Responsabile della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie delle Epatiti Virali (PITER) -. Per eliminare l’HCV, un virus oncogeno responsabile di circa il 70% degli epatocarcinomi in Italia, è indispensabile attuare in tutte le Regioni un piano di screening con metodi organizzativi più efficienti e reattivi basato su adeguata sensibilizzazione e comunicazione della popolazione e del personale sanitario sia per il controllo di malattia che per la riduzione delle infezioni”.

Ad oggi, infatti, soltanto Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Molise, Abruzzo, Basilicata e Valle d’Aosta hanno avviato procedure operative di screening HCV.
“Esistono varie tipologie di test che consentono la ricerca degli anticorpi Anti-HCV (HCV Ab) in diversi campioni biologici:
prelievo venoso, sangue capillare, saliva. Nel Decreto attuativo sullo Screening HCV, per la coorte dei pazienti nati tra il 1969 e il 1989, in caso di positività al test sierologico di screening, utilizzando lo stesso campione, si può verificare la presenza dell’agente patogeno mediante la ricerca o dell’antigene HCV (HCV- Ag) o del genoma del virus con il test molecolare HCV RNA PCR. Questo consente di avere risultati in tempi molto rapidi, ed in caso di positività, indirizzare i soggetti ai centri specialistici per completare il percorso diagnostico a cui farà seguito il trattamento terapeutico – ha affermato Sandro Grelli, docente di Microbiologia Clinica Università di Roma “Tor Vergata” -. Per i soggetti seguiti dai servizi pubblici per le dipendenze (SerD) e per i soggetti detenuti lo screening potrà prevedere o la ricerca degli anticorpi Anti-HCV o in alternativa un test molecolare rapido di facile esecuzione, HCV RNA PCR su prelievo capillare, utilizzando un POCT (Point of Care Test). In caso di positività al test molecolare, dovrà essere completato il percorso diagnostico e successivamente quello terapeutico sotto il monitoraggio degli specialisti del settore”.

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