Gio, 30 Marzo 2023
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Possibili conseguenze psichiatriche per le forme gravi di Covid

I pazienti Covid-19 con livelli di infiammazione sistemica più alti sono quelli a maggior rischio di soffrire, nei mesi successivi alla guarigione, di depressione e di sindrome da stress post-traumatico (PTSD). Non solo, ma come in tutti i pazienti con questo tipo di disturbi psicopatologici, alla presenza dei sintomi clinici si associa spesso un’alterazione della connettività funzionale e di volume e microstruttura della materia grigia e della materia bianca, tutti parametri misurabili tramite tecniche di risonanza magnetica. Sono questi i risultati di una ricerca condotta su 42 pazienti Covid-19 ricoverati presso l’Ospedale San Raffaele di Milano.

A firmare lo studio, pubblicato su Brain, Behavior, & Immunity – Health, è il gruppo di ricerca in Psichiatria e Psicobiologia Clinica del San Raffaele, diretto da Francesco Benedetti, medico psichiatra e professore associato all’Università Vita-Salute San Raffaele. Lo studio sottolinea l’importanza di seguire con attenzione il decorso dei pazienti Covid-19 anche dopo la dimissione e conferma il fattore di rischio rappresentato da infezioni gravi – e dalle relative risposte infiammatore – nell’insorgenza di disturbi d’ansia e dell’umore.

I 42 pazienti oggetto dello studio sono stati ricoverati presso l’Ospedale San Raffale per polmonite Covid-19 durante la seconda ondata della pandemia – dall’autunno del 2020 – e sono stati seguiti per almeno tre mesi dopo le dimissioni, all’interno dell’ambulatorio dedicato al follow-up presso la sede di San Raffaele Turro. L’età media dei soggetti – di cui due terzi sono uomini – è 54 anni. Nessuno di loro aveva mai sofferto di depressione o disturbo da stress post-traumatico prima dell’infezione, né aveva sofferto di lesioni cerebrali durante la fase acuta della polmonite. Il gruppo di ricercatori aveva già descritto in precedenti studi la persistenza, fino a tre mesi dopo la dimissione, di sindromi ansiose e depressive nei pazienti guariti da forme gravi di Covid-19 e il legame tra queste sindromi e il livello di infiammazione sistemica rilevato nella fase acuta di malattia, quando i pazienti erano ancora ricoverati presso l’ospedale.

Anche in questo caso, nei 42 pazienti ricoverati è stato misurato l’SII, il cosiddetto indice sistemico di infiammazione, che misura tramite prelievo di sangue l’intensità della reazione infiammatoria prodotta dall’organismo per combattere l’infezione. Nei mesi successivi alla dimissione però, oltre alla valutazione psichiatrica, tramite test standardizzati, è stato aggiunto un nuovo elemento al quadro clinico di questi pazienti: grazie alle tecnologie presenti nel CERMAC – il Centro d’Eccellenza per la Risonanza Magnetica ad Alto Campo diretto da Andrea Falini, primario di Neuroradiologia – i ricercatori hanno potuto esaminare anche la connettività funzionale (il modo in cui diverse aree cerebrali comunicano tra loro), la struttura della materia bianca e il volume locale della materia grigia. Si tratta del primo studio di questo tipo a indagare le conseguenze psicopatologiche del Covid-19.

Il meccanismo causale alla base di questo “innesco” è ancora poco chiaro, ma l’indiziato numero uno è il sistema immunitario e in particolare la risposta infiammatoria scatenata per combattere l’infezione. A confermare questa ipotesi c’è anche il fatto che depressione e infiammazione sono strettamente legate tra loro: nei pazienti con disturbi dell’umore si riscontra spesso un basso ma persistente livello di infiammazione che non può essere spiegato da altre condizioni mediche.

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