Oggi il mondo si ferma un momento. Si parla di diabete, di prevenzione, di salute.
E soprattutto del ruolo centrale che lo sport può avere nella vita di chi convive con una malattia in continua crescita.
A Roma si è svolto il Convegno promosso da FeSDI insieme all’Intergruppo parlamentare Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili e a Sport e Salute. Un incontro pensato per ribadire un concetto semplice. Muoversi non è solo una buona abitudine ma un vero strumento terapeutico.
La giornata è stata anticipata dall’illuminazione blu di alcuni luoghi simbolo della Capitale.
Un gesto che ogni anno richiama l’attenzione su una condizione che nel mondo potrebbe coinvolgere, entro il 2045, un adulto su otto.
In Italia riguarda già più di quattro milioni di persone e la tendenza non accenna a diminuire.
Durante la tavola rotonda dell’Osservatorio Permanente sullo sport della Fondazione SportCity sono stati presentati i nuovi dati Istat sulla pratica sportiva.
I numeri mostrano progressi importanti ma anche un divario che resta evidente.
Oltre 21 milioni di cittadini hanno praticato sport nel 2024 ma il 62 per cento della popolazione continua a non farlo.
Il divario di genere si riduce ma rimane significativo. Tra gli 11 e i 14 anni l’attività fisica raggiunge i livelli più alti. Poi la curva inizia a scendere e in molte fasce della popolazione la sedentarietà resta la norma.
Colpisce il fatto che quasi quattro persone su dieci non abbiano mai praticato sport nella vita.
Un dato che si intreccia con fattori sociali, culturali e territoriali. Chi ha una scolarità più alta si muove di più, chi vive nei piccoli comuni è più spesso sedentario.
Gli esperti lo ripetono con forza. L’esercizio fisico migliora il controllo glicemico, riduce le complicanze e ha un impatto enorme su benessere e qualità di vita. Per questo istituzioni, società scientifiche e mondo dello sport chiedono un cambio di passo culturale.
La Presidente FeSDI Raffaella Buzzetti lo ha ricordato con chiarezza. Lo sport deve entrare nella cura della persona con diabete come qualunque terapia consolidata. È un investimento sulla salute individuale e sulla sostenibilità del sistema sanitario.
C’è poi un tema che pesa come un’eredità del passato. Un Regio decreto del 1932 continua a limitare l’accesso ai gruppi sportivi militari per gli atleti con diabete. Una norma anacronistica che non tiene conto dei progressi scientifici e che rischia di alimentare stigma e discriminazioni.
Atleti come Anna Arnaudo e Giulio Gaetani stanno portando avanti una battaglia di civiltà. Le loro storie dimostrano che il diabete non è un ostacolo al talento né alla carriera sportiva. Anzi, mostra come lo sport possa essere una potente alleanza nella gestione quotidiana della malattia.
Il messaggio della Giornata Mondiale del Diabete è chiaro. Percorsi di cura più equi, città che favoriscano il movimento e informazione costante sono la strada per un futuro più sano.
E lo sport resta uno degli strumenti più semplici, più accessibili e più efficaci per costruirlo.

