Lo studio “real world” pubblicato su Lancet Regional Health – Europe confronta i dati tra Italia, Regno Unito e Catalogna
Roma – Una sola dose dell’anticorpo monoclonale nirsevimab può dimezzare i ricoveri ospedalieri per bronchiolite nei neonati sotto i sei mesi. È quanto emerge da un importante studio coordinato dall’Università Cattolica del Sacro Cuoredi Roma e dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, pubblicato su Lancet Regional Health – Europe.
Lo studio, coordinato dal dottor Danilo Buonsenso, pediatra e ricercatore della Cattolica, ha analizzato i dati raccolti tra 68 ospedali in Catalogna e cinque ospedali nel Regno Unito e in Italia, diventando il primo lavoro a valutare gli effetti del nirsevimab in un contesto reale (“real world”) e comparativo internazionale.
UN FARMACO CHE PROTEGGE I NEONATI NELLA STAGIONE DEL VIRUS RESPIRATORIO SINCIZIALE
Il virus respiratorio sinciziale (VRS) è responsabile di circa il 75% dei casi di bronchiolite, un’infezione acuta del tratto respiratorio che colpisce principalmente i bambini sotto l’anno di età, soprattutto nei primi sei mesi di vita. La trasmissione avviene principalmente per contatto diretto con secrezioni infette, con picchi stagionali tra novembre e marzo.
In Catalogna, dove il nirsevimab è stato introdotto nella stagione 2023-2024, si è osservata una riduzione quasi del 50% dei ricoveri per bronchiolite nei lattanti sotto i sei mesi e un calo significativo degli accessi al pronto soccorso. Al contrario, in Italia e Regno Unito, dove il farmaco non era ancora stato adottato, non si sono registrate variazioni rilevanti.
UN POTENZIALE CAMBIAMENTO DI PARADIGMA
L’efficacia del nirsevimab è risultata meno marcata nei bambini più grandi (6-23 mesi), confermando che l’intervento preventivo è più efficace nei neonati durante la prima stagione di esposizione al virus.
“Per la prima volta mettiamo a confronto Paesi con politiche sanitarie differenti, fornendo evidenze concrete sull’efficacia di una nuova strategia preventiva”, ha dichiarato Buonsenso.
Gli autori dello studio sottolineano la necessità di ulteriori ricerche su larga scala, anche per valutare l’impatto economico dell’introduzione del nirsevimab nei programmi sanitari nazionali.

