In crescita il numero di italiani stressati, con otto cittadini su dieci che dichiarano di aver sofferto di almeno un disturbo riconducibile allo stress nell’ultimo anno. Il dato, in linea con quanto rilevato nel pieno della seconda ondata (novembre 2020), evidenzia il legame tra la pandemia e le conseguenti restrizioni imposte dal contenimento del contagio e l’aumento di stress e di disturbi correlati. Tra quelli più comuni e in aumento, mal di testa (48,0%), ansia, nervosismo, irritabilità (42,8%), tensioni muscolari (39,6%) e disturbi del sonno (32,2%), di cui sono soprattutto le donne a soffrire maggiormente. È quanto emerge da una ricerca condotta da Human Highway per Assosalute, Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica, presentata in occasione dell’evento stampa “Stress e Covid-19: un equilibrio precario tra restrizioni e relazioni”, con la partecipazione di Piero Barbanti, docente di Neurologia presso l’Università IRCCS San Raffaele di Roma.
“Lo stress”, spiega il Professor Barbanti, “è una reazione fisiologica che l’organismo attiva a propria difesa di fronte a ostacoli, pericoli o situazioni che ne modificano l’assetto. Se avviene in maniera legittima e controllata, consente di affrontare e superare i problemi creando una nuova situazione di equilibrio.” “Nella vita quotidiana, però,” precisa il Professore, “il termine stress ha una connotazione diversa e si riferisce a una condizione psicofisica sgradevole e logorante per la quale l’organismo è sempre in condizioni di allerta e fatica a staccare l’interruttore”. All’inizio della pandemia, nel primo lockdown, lo stress che abbiamo vissuto era quello del primo caso, ovvero positivo: “La situazione emergenziale scoppiata improvvisamente ci ha fatto percepire il pericolo ed è stato proprio questo sentore di allarme a permetterci di sostenere due mesi di chiusura forzata e di riuscire a creare un nuovo equilibrio funzionale e utile senza rendercene conto e senza lamentarci.” Quando poi, nelle successive fasi della pandemia, l’entità del pericolo è scesa e lo spavento è diminuito “è venuto alla luce, invece, uno stress negativo da Covid-19, poiché è comparsa la valutazione soggettiva del possibile protrarsi a lungo termine delle limitazioni e dei rischi, che ha fatto emergere una ruminazione psicologica, un sentimento di sfiducia e allarme cronico”.
Si tratta di un allarme che ha visto come principale fonte di stress dapprima (durante la seconda ondata, nel novembre 2020) la salute, e poi il lavoro per gli adulti (soprattutto per gli uomini di mezza età) e lo studio per i più giovani (34,3% vs 24,7% nel 2020). La salute si conferma, comunque, seppur in minor percentuale (14,8% nel 2022 vs 32,3% nel novembre 2020), una delle fonti di stress, al pari della socialità e delle relazioni (12,6% vs 14,6%). “Durante il lockdown”, spiega Barbanti, “è aumentato il burnout, ovvero l’esaurimento psicofisico del soggetto legato al lavoro, perché, alle normali situazioni che lo determinano, si sono aggiunte modalità lavorative stressanti come il lavoro agile, il telelavoro e la mancanza delle relazioni umane tangibili, compresi quei momenti di pausa che accompagnano la normalità di una giornata di lavoro, come il caffè al bar con i colleghi.” “Questo ha provocato”, conclude Barbanti, “l’aumento di sintomi come insonnia, ansia, depressione negli adulti che, in alcuni casi, per contrastare tali disturbi, si sono rifugiati nell’abuso di alcol e caffè”.
Il consiglio del medico (soprattutto tra gli over 65) e il ricorso ai farmaci di automedicazione (tipico nelle fasce centrali della popolazione) sono i due comportamenti più diffusi tra gli intervistati, in linea con il trend rilevato nella seconda ondata della pandemia (rispettivamente il 36,8% e il 33,5%). Seguono il consiglio del farmacista (16,3%), il ricorso al web (13,7%) e il consiglio di amici e parenti (8,7%), comportamenti sempre meno diffusi con l’aumentare dell’età.
In crescita, rispetto al 2020, la percentuale di coloro che non chiedono consiglio a nessuno e non fanno nulla per alleviare i sintomi, che aumenta dall’11,6% al 21,1%, a evidenziare che, passata la fase più difficile della pandemia, anche la determinazione e l’attenzione con cui si curano i disturbi da stress ha perso di intensità.
Lo stress può invece essere curato, raccomanda Barbanti, anzitutto “conoscendolo, e poi facendo un atto di buona volontà, modificando, di conseguenza, lo stile di vita e approcciando l’automedicazione”. Tra i farmaci di automedicazione, riconoscibili dal bollino rosso che sorride sulla confezione, l’esperto evidenzia che possono essere utili contro i sintomi neuropsichici dello stress (p.es. i disturbi del sonno) la melatonina e la valeriana, così come il ricorso agli analgesici di automedicazione può aiutare contro la cefalea di tipo tensivo.
“I farmaci da banco ad azione antiacida possono servire per contrastare i sintomi legati ai disturbi gastrointestinali di tipo funzionale, così come quelli ad azione antidiarroica o i probiotici possono rivelarsi preziosi alleati per combattere la diarrea su base emotiva”, raccomanda Barbanti, che aggiunge: “Gli antinfiammatori possono essere utili anche a contrastare la sensazione di tensione muscolare, uno dei disturbi prevalenti per chi soffre di stress. Da non dimenticare l’utilità di polivitaminici e poli minerali per l’apporto, ad esempio, del complesso vitaminico B, della vitamina D e del magnesio, essenziali per lo svolgimento fisiologico dell’attività nervosa”.