Il presidente dell’Ordine dei medici di Palermo, Toti Amato, interviene dopo l’episodio verificatosi la sera del 13 aprile alla clinica Triolo Zancla di Palermo. I familiari di una 29enne avrebbero infatti inveito contro i medici e danneggiato la struttura alla notizia dell’aborto spontaneo alla ventesima settimana vissuto dalla giovane donna.
Amato ha ricostruito, insieme al responsabile dell’Unità operativa di Ostetricia e ginecologia Luigi Triolo, la tragica perdita del feto della 29enne in cura alla clinica attraverso gli esami, la cartella clinica e le visite programmate.
“Quando i medici guariscono sono venerati e diventano eroi – dichiara -; quando qualcosa va storto, anche nel caso di un fatto molto triste, l’adorazione si trasforma in odio e violenza, dimenticando che anche la scienza ha i suoi confini, non potendo ‘fissare’ l’imprevisto di un caso specifico se i dati clinici sono rassicuranti, come il triste aborto spontaneo a 20 settimane di una giovane donna. Lo conferma il 90 per cento di medici denunciati e assolti per insussistenza di colpa, ma trascinati per anni in una causa lunga, costosa e psicologicamente devastante”.
“Un esito imprevedibile e doloroso per la paziente e per i medici – ha spiegato Amato – ma che non può essere inquadrato come un caso di malasanità perché il corpo umano è fatto di infinite variabili che possono influenzare il lieto o il penoso epilogo di una gravidanza. In questo caso, tra l’altro, nulla poteva essere fatto perché le linee guida della professione non prevedono interventi che possono essere risolutivi prima del compimento delle 22 settimane di gestazione. Ma oggi basta una denuncia o solo l’identificazione dei soggetti coinvolti per mettere in moto una causa che paralizza l’attività di un medico”.
“La costituzione italiana garantisce la tutela e i diritti del malato tramite legali e tribunale del malato, ma non c’è tutela per la pressione psicologica costante patita dai sanitari a causa delle aggressioni e delle conseguenze medico-legali, sempre dietro l’angolo. Quando un paziente entra in uno studio o in un ospedale, il medico vede il malato come una persona che ha bisogno di cure, ma anche come un potenziale nemico che gli si può rivoltare contro da un momento all’altro. E’ la continua involuzione del rapporto fiduciario medico-paziente che bisogna scongiurare perché se tuteliamo la loro professione proteggiamo i malati e la nostra sanità”.